ALLERGIA A FARMACI

Per reazione avversa a farmaco si intende una risposta ad un medicamento che è nociva e non intenzionale e che insorge a dosi normalmente usate nell’uomo.

Sono eventi molto frequenti, si stima che in media siano causa del 3,6% di tutti i ricoveri, mentre al 10% di tutti i pazienti ricoverati viene diagnosticata una reazione avversa a farmaco durante la degenza.

Secondo la classificazione più comunemente utilizzata, le reazioni avverse sono distinte in reazioni di tipo A e di tipo B:

Le reazioni di tipo A sono dose-dipendenti e prevedibili in funzione delle caratteristiche del farmaco. Si tratta di reazioni comuni, prevedibili e quindi evitabili. Comprendono gli effetti collaterali, gli effetti tossici o le interazioni con altri farmaci.

Le reazioni avverse di tipo B sono dose-indipendenti ed imprevedibili e nella maggior parte dei casi si tratta di reazioni da ipersensibilità in cui è coinvolto il sistema immunitario. Costituiscono circa il 15% delle reazioni avverse a farmaci e si calcola interessino circa il 7% della popolazione generale.

I farmaci più frequentemente implicati sono antibiotici e antinfiammatori non steroidei (FANS); ma è possibile che una reazione da ipersensibilità si verifichi con qualsiasi farmaco.

Classificazione e sintomatologia

  • Le reazioni immediate compaiono generalmente entro 1 ora o massimo entro 6 ore dalla somministrazione del farmaco. Nella maggior parte dei casi sono mediate da anticorpi IgE.

Le manifestazioni cliniche sono orticaria, angioedema, rinite, broncospasmo, sintomi gastrointestinali o anafilassi.

  • Le reazioni ritardate compaiono dopo più di 6 ore dalla somministrazione, generalmente dopo alcuni giorni e sono in genere associate a un meccanismo allergico mediato da cellule T.

Le manifestazioni cliniche più comuni sono l’esantema maculopapulare e l’orticaria a comparsa ritardata, ma si possono manifestare anche quadri più gravi come la necrolisi epidermica tossica (TEN), la sindrome di Stevens-Johnson (SJS) e la sindrome da ipersensibilità con eosinofilia e sintomi sistemici (DRESS).

Diagnosi

La diagnosi di una reazione da ipersensibilità a farmaci si basa sull’anamnesi, la clinica e, se possibile, su test in vivo ed in vitro. Ove possibile, è molto importante cercare di arrivare ad una diagnosi precisa e sicura, in modo da attuare le corrette misure preventive e non rinunciare a terapie potenzialmente utili in modo ingiustificato.

L’anamnesi è il primo fondamentale approccio e deve indagare accuratamente la sintomatologia, la cronologia e la modalità di insorgenza della reazione. In particolare, è importante appurare se vi sono state precedenti esposizioni al farmaco, il rapporto temporale tra l’assunzione e la comparsa dei sintomi e le conseguenze della sospensione ed eventuale ripresa di tale farmaco e terapie concomitanti. È inoltre importante conoscere i precedenti allergologici del paziente, come ad esempio la presenza di una storia clinica di orticaria cronica spontanea o di rinosinusite che possono essere aggravate dall’assunzione di determinate categorie di farmaci come l’acido acetilsalicilico o i FANS.

Se la storia clinica è sospetta per reazione da ipersensibilità è indicato procedere con la diagnostica in vivo e in vitro. Al contrario, se le caratteristiche della reazione non sono compatibili con reazione da ipersensibilità, se il farmaco sospetto è stato successivamente tollerato o se la reazione è stata molto grave e a rischio di vita, non è indicato procedere con la diagnostica cutanea.

I test cutanei sono i mezzi più facilmente applicabili per confermare o escludere una reazione da ipersensibilità, ma il loro valore diagnostico non è stato validato per tutti i farmaci. È necessario che vengano seguite delle procedure validate e che vengano effettuati da personale specializzato. Devono essere eseguiti 4-6 settimane dopo l’evento acuto e dopo una adeguata sospensione delle eventuali terapie antistaminiche e steroidee.

I test cutanei sono utilizzati allo scopo di

  • documentare il meccanismo patogenetico IgE mediato

  • individuare il farmaco responsabile in caso di terapie multiple

  • indagare eventuali cross reattività

  • implementare la stratificazione del rischio per guidare la successiva esposizione.

Skin prick test e test intradermici sono particolarmente importanti per dimostrare un meccanismo IgE mediato. Per le reazioni immediate il prick test è raccomandato come approccio iniziale e consiste nell’applicazione sull’avambraccio di una goccia della soluzione del farmaco, opportunamente diluito, e nel pungere poi delicatamente con una lancetta sterile attraverso la goccia. Dopo 15-30 minuti il test sarà considerato positivo alla comparsa di una reazione pomfoide, arrossamento e prurito cutaneo.

I test intradermici vengono effettuati nel caso in cui il prick sia negativo e, rispetto ad esso, presentano una più alta sensibilità.

Se possibile, devono essere effettuati con la formulazione iniettabile del farmaco imputato somministrando dosi crescenti tramite iniezione intradermica: viene iniettata nella cute dell’avambraccio, con siringhe tipo insulina una minima quantità del farmaco opportunamente diluito, fino a formare un piccolo pomfo.

L’eventuale positività sarà valutata dopo 15-30 minuti con l’aumento del diametro del pomfo. Talvolta la reazione positiva al test intradermico si può manifestare dopo 24-48 ore, o anche oltre. La sensibilità e il valore predittivo variano a seconda del farmaco imputato; sono molto alti, ad esempio, in caso di reazioni immediate a betalattamici, sali di platino ed eparine.

In caso invece di reazione non immediata con meccanismo T mediato è necessario avvalersi di patch test o test intradermico a lettura ritardata, che consiste nel mettere a contatto con la pelle un farmaco opportunamente preparato, occluso da un cerotto. Il test verrà letto dopo 48 e 72 ore.

Le reazioni positive, molto pruriginose, possono essere di tipo eczematoso, con comparsa in sede di applicazione del farmaco, di arrossamento, gonfiore, vescicole o bolle.

Non per tutti i farmaci sono disponibili protocolli standardizzati e validati, per cui spesso è necessario un test di provocazione per confermare la diagnosi.

Il test di provocazione o challenge è il gold standard per identificare l’imputabilità di un farmaco. Consiste nella somministrazione del farmaco a dosi crescenti e ad intervalli definiti, fino alla dose intera, secondo schemi previsti dalla letteratura e in base al tipo di reazione manifestato dal paziente. Generalmente è eseguito alla fine del percorso diagnostico in un paziente a basso rischio per dimostrare la tolleranza ad un dato farmaco o applicato per la ricerca di farmaci alternativi. È indipendente dalla patogenesi e quindi non permette la distinzione tra reazioni allergiche e non allergiche. La via di somministrazione dipende dal farmaco in questione, ma generalmente è preferibile la via orale. È controindicato in caso di gravi reazioni sistemiche (ad esempio DRESS, SJS) o anafilassi, in corso di gravidanza o quando il farmaco in questione non sia realmente necessario o sia facilmente sostituibile con altro farmaco di pari efficacia.

I test in vitro ad oggi disponibili sono poco sensibili. La sensibilità si riduce con il passare del tempo dalla reazione. I risultati sono da interpretare con cautela, in quanto un test negativo non esclude l’imputabilità del farmaco e un test positivo dimostra una sensibilizzazione al farmaco ma non la causalità della reazione.

Attualmente la ricerca delle IgE specifiche è disponibile solo per alcuni farmaci e deve essere valutata nel contesto clinico.

L’attivazione dei mastociti, indipendentemente dal meccanismo IgE o non IgE mediato, può essere documentata dal dosaggio di mediatori specifici. Tra questi riveste particolare importanza il dosaggio della triptasi, enzima che viene liberato dai granuli mastocitari durante la fase di attivazione e che deve essere dosato tra i 60- 120 minuti dalla reazione, in base all’emivita. L’aumento al di sopra del valore soglia o rispetto al valore basale, misurato almeno 24 ore dopo la risoluzione dell’anafilassi, documenta che la reazione ha coinvolto i mastociti. Per quanto valori normali di triptasi non escludano una reazione anafilattica, il riscontro di un aumento in fase acuta è di estrema utilità per la diagnosi differenziale della reazione, mentre un valore basale elevato identifica pazienti con attivazione mastocitaria/mastocitosi a rischio di anafilassi.

Terapia

In corso di una sospetta reazione da ipersensibilità il farmaco imputato deve essere immediatamente sospeso e la sintomatologia trattata a seconda della gravità con terapia antistaminica, steroidea ed eventualmente adrenalina nei casi di anafilassi.

È necessaria quindi la sostituzione del farmaco, ma qualora questa non sia possibile per la mancanza di alternative di pari efficacia, è possibile tentare una procedura di desensibilizzazione, che consiste nell’induzione di una temporanea tolleranza al farmaco allo scopo di garantire la possibilità di ricevere il trattamento ottimale per la condizione patologica in atto. La procedura consiste nella somministrazione di dosi crescenti del farmaco in un breve periodo di tempo, da alcune ore a pochi giorni, fino al raggiungimento della dose cumulativa terapeutica.

La desensibilizzazione induce uno stato di tolleranza temporaneo, che può essere mantenuto solo mediante la prosecuzione della somministrazione del farmaco; perciò in caso di terapie cicliche, la procedura deve essere ripetuta prima di ogni successiva somministrazione.

Sono controindicazioni assolute severe reazioni potenzialmente fatali (come SJS, TEN, DRESS, vasculiti cutanee o sistemiche).

Consigli utili in caso di sospetta reazione allergica a un farmaco

Annotare:

il nome del farmaco e il dosaggio utilizzato

la data di inizio e di fine della terapia del farmaco sospetto e di eventuali altri farmaci

la descrizione dei sintomi provocati dal farmaco

quanto tempo è passato dall’ultima somministrazione del farmaco alla comparsa dei sintomi

gli eventuali farmaci assunti per curare i sintomi

eventuali farmaci sostitutivi assunti in seguito

Pagina realizzata grazie al contributo scientifico della dott.ssa Elena Penza e  del dott. Matteo Borro.